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"Bisogna farsi poligrafi"
(J.P.Sartre)
Dopo Guntenberg scrivere non è stato più la stessa cosa. La nuova tecnologia tipografica
impone nuovi modelli, nuovi moduli, nuove figure professionali, nuovi diversi modi scrivere.
Il Poligrafo è il figlio legittimo della nuova cultura tipografica, altro che sinonimo di scrittore
superficiale, eclettico e facilone. Il Poligrafo è uno scrittore professionista, un intellettuale
organico che lavora per l'industria editoriale.
Costretto a seguire i ritmi forzatamente discontinui del lavoro editoriale, pressato dall'urgenza
di andare in macchina, obbligato a scrivere in piedi sul banco del proto, il Poligrafo sperimenta,
inventa e introduce nuove forme di scrittura, più agili e veloci, più aperte. Dei nuovi quadri
intellettuali formatisi con lo sviluppo della stampa, il Doni per le sue vicende esistenziali
e per la sua condizione sociale sente di più la stampa, la elegge a occupazione e preoccupazione
principale della sua vita.
Per Doni scrivere diventa sinonimo di vivere. Scrivere, bisogna scrivere. Il contenuto è indifferente,
l'importante è scrivere. Nelle pagine del Doni sono infiniti i luoghi in cui si parla della stampa,
della scrittura. La scrittura diventa l'oggetto della scrittura. In questo guardarsi. scrivere,
in questo narcisismo della scrittura, in questo riflettere sui modi e sulle forme della scrittura,
Doni non è solo. Da Rabelais a Cervantes, su fino a Swift e Joyce, sono molti gli intellettuali
a interrogarsi su questo problema, a metterlo al centro delle loro opere. Con ben altri risultati,
certo, ma il fatto che il Doni non sia riuscito a dare perfezione artistica alle sue riflessioni
non ci esime dall'indicarlo come un fedele ed acuto testimone di un passaggio fondamentale
nella storia della letteratura. La Poligrafia rappresenta l'ultima spiaggia della civiltà
rinascimentale: nella capacità del Doni a interessarsi di tutto, a scrivere dì tutto ci sono
ancora le tracce dell'uomo universale.
Perduta l'unità interiore e l'integrità spirituale che facevano unico l'uomo rinascimentale,
il Doni tutto riservato sull'esteriorità tenta di riappropriarsi di quella realtà da cui si sente
sempre più estraniato, in disarmonia. La padronanza tecnica del nuovo mezzo gli consente di
restare al centro e di dominare tutti gli aspetti del reale piegandoli ad unità attraverso la scrittura.
Anche questa si rlvelerà un'illusione, una delle tante che il Doni coltivò
nella sua vita e che non riuscì mai a realizzare. Sulle sue ceneri nasceranno nuove
figure dominanti, nuove forme di scrittori che, all'ombra protettiva del concetto discriminante di
arte, relegheranno nei limbi e nei ghetti della cattiva letteratura tutte le proposte
eversive e disorganiche come quelle del Doni. D'ora in poi nessuno, salvo rare eccezioni,
si chiederà più cosa significa scrivere, la stampa diventerà
un fatto normale, il prolungamento naturale dell'atto di scrivere. Ma, nello stesso tempo,
scrivere e pubblicare saranno due fatti autonomi e separati: da una parte lo scrittore
con i suoi problemi creativi, dall'altra l'editore con le sue esigenze commerciali.
Pubblicare un libro sarà esclusivamente un fatto tecnico ed economico: l'industria culturale
nelle sue forme attuali è tutta in questa separazione dei compiti, in questa divisione di competenze.
La sfida del Doni è definitivamente perduta. Il Doni rimarrà consegnato alle storie letterarie
come un outsider, un eterno perdente.Ma con lui è perdente tutto un modo di fare e di
intendere la letteratura e il ruolo dello scrittore nella società.
Il suo fallimento è il nostro.
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